di Giacomo Conti

Nell’era del Web 2.0 è più che mai attuale la massima secondo la quale: “Se non paghi un prodotto, allora il prodotto sei tu”.

Tutti noi utilizziamo i servizi della società dell’informazione quali, ad esempio, Google, Facebook, Amazon, Netflix. Giganti tecnologici come Apple sviluppano, inoltre, le proprie piattaforme commerciali App Store, iTunes Store e Apple Books.

Mentre alcuni servizi prevedono un sistema di fruizione attraverso il pagamento di un canone, altri servizi operano in maniera più subdola e, dietro un’apparente gratuità, chiedono in realtà come corrispettivo i nostri dati personali che vengono forniti da consumatori, molto spesso, inconsapevoli.

I dati dei consumatori vengono, infatti, monetizzati e ceduti a terzi oppure utilizzati direttamente dal fornitore del servizio attraverso un’attività promozionale per aumentare la vendita dei propri prodotti e/o di quelli di terzi. Questo, a prescindere dal fatto che si paghi o meno per il servizio.

Dopo avere tracciato un quadro generale sulla complessa relazione fra piattaforme online, consumatori (Platform2Consumer) e utenti commerciali (Platoform2Business) e dopo avere il modello economico di queste piattaforme, l’intervento ha lo scopo di mettere in relazione i profili di interferenza fra protezione fra il diritto alla protezione del dato la protezione del consumatore.

Nella seconda parte verranno poi approfondite i procedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei confronti di Google Ireland Ltd. e di Apple Distribution International Ltd dove entrambe le piattaforme sono state sanzionate per 10 milioni di euro ossia per il massimo edittale secondo la normativa vigente.  L’Antitrust ha, infatti, accertato per ogni società due violazioni del Codice del Consumo, una per carenze informative e un’altra per pratiche aggressive legate all’acquisizione e all’utilizzo dei dati dei consumatori a fini commerciali.

 

 

 

Per il testo integrale dei provvedimenti dell’AGCM:  v. https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2021/11/PS11147-PS11150Platform2bus

 

In allegato le slide dell’intervento al convegno e-privacy XXXI – ««Privacy tra attivismo e scienza» – prima giornata – pomeriggio

220929 SLIDE CONTI EPRIVACY

di Giacomo Conti

Scegliere un certo social network perché rispetta la nostra privacy è come decidere di fumare una certa marca di sigaretta perché è attenta alla nostra salute o, almeno, più delle concorrenti.

Così come il fumo danneggia la nostra salute, i social network presentano rischi per la nostra vita privata e privacy di cui dobbiamo essere consapevoli.

Prima di scandalizzarci per la violazione della nostra privacy da parte delle piattaforme online, basti pensare come anche le nostre banche, ad eccezione dei sempre più rari pagamenti operati con contanti non tracciabili, siano in grado di conoscere a fondo i nostri acquisti e come possano profilarci, ugualmente, con agevolezza mediante ogni pagamento che effettuiamo con carta di credito o bancomat.

Ultimamente, si presta sempre più attenzione a quello che i social network fanno con i nostri dati personali e con le nostre vite. In questo senso, il GDPR che ha contribuito ad affermare una cultura basata sul dato personale e la recente apprensione sul tema è un effetto benefico nel medio termine del GDPR che ha fatto crescere la consapevolezza dell’utente medio nell’utilizzo dei servizi online.

Prima di comprendere appieno il fenomeno e per evitare di creare inutile e dannoso allarmismo è necessario comprendere come i social network operano e traggono i propri profitti. Del resto, è evidente che le grandi piattaforme come Google, Facebook e Clubhouse non sono onlus che operano con la speranza di lasciarci un mondo migliore.

I social network sono dei media e, come quotidiani e reti televisive, vendono spazi pubblicitari da cui traggono i propri profitti. Tuttavia, a differenza dei media tradizionali, i social network riescono a studiare l’utente e a vendere pubblicità mirate attraverso la cosiddetta profilazione. La pubblicità mirata e profilata ha, quindi, indubbiamente un valore maggiore rispetto alla pubblicità ordinaria in quanto raggiunge un target specifico sulla base di un preventivo studio di dati. Inoltre, maggiore è al crescere della base utenti, maggiore è il prezzo che gli inserzionisti pagano alla piattaforma per acquistare gli spazi di réclame virtuali.

Senza trovare definizioni metafisiche, l’art. 4 GDPR definisce profilazione come qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica. In particolare, questo processo può venire utilizzato per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di una persona fisica.

Grazie a questa attività i social network non vendono generici spazi commerciali, ma una pubblicità mirata ritagliata sulla base della personalità tracciata dell’utente e dei suoi interessi e sulla base dei dati raccolti nell’ambito della fruizione del servizio. Ad esempio, sulla base dei contenuti visionati, dei like e condivisioni operate o, anche, sulla base del tempo dedicato al singolo contenuto o annuncio.

È, quindi, evidente come il fruire di un social network sia incompatibile con ogni concetto più basilare di privacy: quando accediamo al servizio permettiamo alla piattaforma online di conoscere i nostri gusti e la rendiamo partecipe di ogni aspetto della nostra vita che si articola all’interno del social. Quanto è apparentemente gratuito è pagato con la nostra attenzione, il nostro tempo e attenzione per permettere agli inserzionisti (i cosiddetti utenti commerciali) di inviarci pubblicità mirata studiata sulla base dei nostri interessi.

Al pari del fumo, i social network presentano dei rischi evidenti per la nostra vita, in quanto creano di vera e propria dipendenza da connessione e penetrano le nostre vite distraendoci dalla nostra attività e inducendoci, anche modificando il nostro comportamento, verso determinate scelte di acquisto. È sotto gli occhi di tutti come, grazie alle informazioni che raccolgono su di noi, le piattaforme online plasmano il servizio sulle nostre esigenze tenendoci appiccicati allo schermo il più possibile.

Tuttavia, sarebbe ipocrita negare che questi servizi possono apportare significativi benefici a noi tutti, a differenza del fumo.

È importante, però, capire se siamo disposti a pagarne il prezzo, ossia la nostra riservatezza con il rischio di possibile creazione di dipendenza, a fronte di quello che ci offrono.

Per pensare ai vantaggi, basti pensare ai vantaggi di creare una rete professionale attraverso LinkedIn, alla possibilità di rimanere in contatto con amici con cui avremmo poche possibilità di contatto attraverso Facebook o, ancora, di approfondire passioni e interessi attraverso YouTube che offre un patrimonio di conoscenza prima inimmaginabile anche al più dotto enciclopedico.

I social network in sé, pertanto, non sono un fenomeno da demonizzare, ma al più, da comprendere.

Posto che noi veniamo usati dalle grandi Big Tech a cui cediamo i nostri dati e informazioni che riguardano le nostre vite, è innegabile che riceviamo dei vantaggi dai servizi di cui siamo utenti e prodotti al tempo stesso.

Così come noi veniamo usati dalle piattaforme online, noi dobbiamo essere consapevoli e capire come usare il servizio a nostro vantaggio.

Prima di accedere a un servizio social network dobbiamo capire:

  1. in che modo i social network penetrano e interagiscono con le nostre vite e sfera personale,
  2. se siamo disposti a cedere i nostri dati personali a fronte del servizio che ci viene offerto,
  3. perché noi usiamo i social network e quali vantaggi possiamo trarre dal loro utilizzo se e ne sono,
  4. a quali rischi ci espone il loro utilizzo.

Solo dopo avere compreso questi aspetti saremo utenti consapevoli in grado di trarre tutti i vantaggi possibili dal servizio facendoci usare il meno possibile. In altri termini, dobbiamo trasformarci da prodotti inconsapevoli a prodotti consapevoli.

Autore: Giacomo Conti

Editore: Maggioli Editore

Pubblicazione: Ottobre 2020 (I Edizione)

ISBN / EAN 8891643452 / 9788891643452

Collana: Collana Legale

 

Prefazione: Il World Wide Web come la spezia di Dune. L’estensione della conoscenza e l’annullamento dello spazio tra realtà e fantascienza. Gilde spaziali e cybermediary.

L’estensione della conoscenza e l’annullamento dello spazio tra realtà e fantascienza. Gilde spaziali e cybermediary.

Siamo nell’Universo di Dune creato da Frank Herbert nel 1965, ambientato nell’Anno Domini 10191: l’universo conosciuto è governato dall’imperatore Padishah Shaddam IV e, per l’umanità, la più preziosa e vitale sostanza dell’u-niverso è il Melange, la spezia.

La spezia allunga il corso della vita.

La spezia aumenta la conoscenza.

La spezia è essenziale per annullare lo spazio.

La potente Gilda spaziale e i suoi navigatori, che la spezia ha trasformato nel corso di oltre 4000 anni, usano il gas arancione della spezia che conferisce loro la capacità di annullare lo spazio, e cioè, di viaggiare in qualsiasi parte dell’universo senza mai muoversi.

La spezia esiste su un solo pianeta nell’intero universo conosciuto. Un arido e desolato pianeta con vasti deserti.

Il pianeta Arrakis è conosciuto anche come Dune (1).”

Senza troppa speculazione e inventiva e togliendo l’aspetto esotico che caratterizza il celeberrimo romanzo: l’umanità, correva l’anno 1989, inventava quanto più di simile esiste alla spezia, ossia la Rete. Il World Wide Web, per come noi lo conosciamo, è al pari della spezia di Frank Herbert un formidabile strumento che in poche decadi ha rivoluzionato i rapporti economici e sociali, cambiando profondamente la società in cui viviamo.

A differenza della spezia, tuttavia, è estremamente facile accedere al World Wide Web: è, infatti, sufficiente munirsi di un dispositivo collegato alla Rete e di una connessione Internet offerta dagli operatori telefonici a costi sempre più economici.

Lungi dall’esistere su un solo remoto e desolato pianeta, sempre più persone sul globo terrestre hanno accesso a questa formidabile tecnologia da cui sono sempre più dipendenti.

La Rete, al pari del Melange, assuefà chi vi si connette che ne diventa sempre più dipendente, a prescindere dal fatto che la connessione al Web sia operata per esigenze personali oppure legate allo svolgimento di un’attività di impresa.

Nell’Universo di Dune, solamente la Gilda Spaziale detiene il monopolio sul commercio della spezia e anche questo dato si presta a un’analogia con il nostro universo.

Nel nostro universo, gli intermediari digitali, al pari della Gilda Spaziale, hanno un monopolio di fatto sui servizi della società dell’informazione nell’ambito dei quali dispensano benefici, punizioni ed erogano giustizia sulla base di termini e condizioni che loro stessi hanno stabilito. Si pensi a Google per i servizi di motori di ricerca, ad Amazon per l’E-commerce o, ancora, a Microsoft per i sistemi operativi e gestionali per consumatori e imprese.

La Rete ha cancellato precedenti confini e limiti dettati dallo spazio fisico e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza al pari della spezia. I rapporti di produzione, distribuzione e consumo sono stati, quindi, rivoluzionati dalle fondamenta proprio grazie alla possibilità che la Rete offre di condividere informazioni, abbattere spazi e creare occasioni di contatti fra persone fisiche e fra imprese.

L’annullamento dello spazio fisico ha dato luogo ai fenomeni, in contraddizione solo apparente, di disintermediazione e di intermediazione online e ha permesso la concentrazione di un potere economico prima inimmaginabile nelle mani di pochissimi cybermediary che gestiscono piattaforme online il cui utilizzo è diventato fondamentale nelle nostre vite.

Il potere economico di cui dispongono i cybermediary, lungi dal rappresentare sempre un’opportunità per i destinatari dei servizi, può essere utilizzato abusivamente in danno agli utenti commerciali e con effetti non necessariamente benefici per i consumatori. In questo quadro di sviluppo tecnologico ed economico è entrato in crisi il ruolo tradizionale dei cybermediary: prima fornitori passivi di un servizio tecnico, ora più che mai si trovano ad avere un ruolo attivo nella gestione dei contenuti caricati e condivisi dai propri utenti.

Il cybermediary, oltre ad avere un enorme potere economico, diventa anche giudice ultimo e supremo all’interno dei servizi che gestisce e le sue decisioni incidono significativamente sulle sfere personali e professionali degli utenti che si servono dei suoi servizi.

Inoltre, la Rete ha riequilibrato il rapporto a favore del consumatore, accordandogli un potere prima inimmaginabile: condividere feedback, recensioni, valutazioni in merito alle proprie esperienze di consumo.

Come la spezia ha mutato nel fisico e nella psiche i navigatori, i servizi basati sulla Rete hanno mutato profondamente la figura stessa del consumatore che non è più un mero acquirente passivo di beni o servizi.

Si è assistito, in questo quadro complesso, alla nascita della nuova figura del prosumer digitale, che è una persona fisica sempre più informata che acquista in rete beni e servizi e che condivide, tramite i servizi della società dell’informazione, le proprie esperienze di consumo, incidendo in maniera sostanziale sull’asimmetria informativa. Lo scambio di informazioni sul Web 2.0, infatti, opera sulla base di dinamiche che si fondano su una partecipazione attiva non solo dei fornitori di servizi della società dell’informazione o degli operatori economici, ma anche dei consumatori stessi.

Si aggiunga, peraltro, che di fronte alla velocità attraverso la quale le informazioni circolano in rete il rimedio giudiziale ha perso di centralità, essendo i formalismi del processo civile e della tutela giudiziale incompatibili con la necessità di tutela e presidio immediata dell’imprenditore in rete.

Molte vertenze sono, pertanto, affidate a strumenti di Alternative Dispute Resolution che presentano vantaggi in termini di costi ed efficienza rispetto al tradizionale rimedio giudiziale o vengono gestite con sistemi che il cybermediary ha creato e plasmato. Nonostante l’introduzione del Regolamento Platform2Business, la tutela apprestata dal Regolamento (UE) 2019/1150 risulta molto più formale rispetto al quadro dettato, ad esempio, in tema di tutela e protezione del consumato-re (2) o della persona fisica nell’ambito dei trattamenti di dati personali che la riguardano, avente un’ampia, corposa e sostanziale tutela all’interno del General Data Protection Regulation (3).

Pertanto, il nuovo impianto normativo risulta indicativo della persistente scarsa sensibilità delle Istituzioni europee alle esigenze di tutela delle imprese che si trovano in posizione di dipendenza economica verso i cybermediary.

Nel nostro universo come in quello di Dune, il potere non è quindi distribuito in ugual misura e, sebbene a differenza della spezia la Rete sia accessibile agevolmente, la distribuzione del potere attraverso i servizi online ha creato un vero e proprio feudalesimo digitale.

La rete allunga il corso della vita.

La rete aumenta la conoscenza.

La rete è essenziale per annullare lo spazio.

I potenti cybermediary e i loro navigatori, che la rete ha trasformato nel corso di poche decadi, usano i servizi basati sulla rete che conferiscono loro la capacità di annullare lo spazio, e cioè, di viaggiare in qualsiasi parte dell’universo senza mai muoversi.

La rete esiste intorno a noi e siamo noi”.

Giacomo Conti

 

Per informazioni sul testo v. https://www.maggiolieditore.it/lineamenti-di-diritto-delle-piattaforme-digitali-volume-1.html

 

(1) Si riporta la citazione della Principessa Irulan Corrino, figlia dell’imperatore Padi-shah Shaddam IV e futura sposa del protagonista del romanzo Paul Atreided Muad’Dhib. La citazione è tratta non dal testo, ma dal film di Dune scritto e diretto da David Linch nel 1984 e basato sul celeberrimo romanzo di Frank Herbert del 1965.

(2) V. direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.

(3) Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati).