di Marino Bianco

 

Le Criptovalute esistono dal 2008, anno in cui Satoshi Nakamoto lanciò il “manifesto” (whitepaper) del Bitcoin, il primo di tutte le Criptovalute. La caratteristica principale delle Criptovalute è la decentrazione, vale a dire non hanno altro governo che quello degli algoritmi di mining e della Blockchain. Sono quindi distaccate da ogni forma d’intervento della politica o di una qualche autorità centrale che rendono impossibile ogni fenomeno inflattivo.

Gli utilizzi delle criptovalute possono esseri vari, ma essenzialmente legati al valore, infatti, se i Bitcoin nei primi anni potevano essere utilizzati per acquistare beni e servizi come la moneta avente valore corrente , man mano il valore è cresciuto ha cominciato a farsi spazio l’uso di questo come strumento per speculazioni finanzarie e riserva di valore.

Ma questa crescita enorme ha avuto un effetto collaterale importante: le criptovalute sono estremamente volatili e possono perdere parte, anche importante, del loro valore nell’arco di brevissimo tempo.

Proprio questa volatilità, insieme alla decentralizzazione e al fatto che difficilmente questa possa raggiungere, almeno a breve, accettazione presso il pubblico rendono impossibile identificare le criptovalute come moneta avente valore corrente (ovvero fiat).

Con la conseguenza che, attualmente, v’è un’identificazione nell’alveo dei beni mobili immateriali alla stregua di strumenti finanziari.

Ed è proprio tale identificazione quella seguita anche dalla giurisprudenza, infatti il TAR del Lazio con la sent. 1077 del 20,01,2020 ha indicato che le criptovalute vadano indicate nel riquadro “RW” al momento della compilazione del 730  riquadro  appunto riservato agli investimenti finanziari. Ma ci sono anche pronunce da organi non giurisdizionali come ad esempio la CONSOB che hanno sottoposto le criptovalute alle regole esistenti per il mercato finanziario[1].

Questo è conseguenza del numero sempre maggiore di persone che investono e, in virtù di ciò, saranno sempre di più le controversie legali nelle quali il Bitcoin e le altre Criptovalute avranno un ruolo, anche in fase esecutiva. A riprova di ciò v’è un caso riguardante la conferibilità delle cripto nel patrimonio sociale.

Di tal caso s’è  occupato il Tribunale di Brescia, con il decreto di rigetto  7556/2018 del 18/07/2018 ad oggetto il conferimento di criptovalute in capitale sociale.

Leggendo il decreto si scoprono i motivi di tale rigetto:
In primis, il Tribunale rileva che oggetto di conferimento è  una criptovaluta presente in un unico mercato che fra l’altro è direttamente ricollegabile agli ideatori della stessa.

Altro motivo sarebbe nella difficoltà pratica del pignoramento, dal momento il livello di sicurezza tecnologia è tale da rendere impossibile l’esecuzione senza la cooperazione dell’esecutato.

Quanto decretato dal Tribunale di Brescia però ha  rilevanza limitabile esclusivamente al caso trattato, dal momento che la maggioranza degli investimenti avveiene su wallets i quali possono agire come veri e propri custodi ( cd. Custodial wallets) e riguarda delle criptovalute con un bacino di utilizzo notevolmente più esteso.

Dal punto di vista procedurare è importante citare l’art 514 cpc riguardante  le “cose mobili assolutamente impignorabili” e in questo le criptovalute non sono rintracciabili né direttamente, né indirettamente. Inoltre l’art 514 non può essere interpretato analogicamente e gli elementi in essi contenuto sono un numerus clausus, quindi non allargabile se non dal legislatore.

L’articolo 474 cpc indica come requisiti del diritto oggetto “liquidità, certezza ed esigibilità” dove per certezza ci si riferisce all’esistenza del diritto e alla sua facile identificazione, per esigibilità s’intende l’essere scevro da ogni condizione o impedimento. Per quanto riguarda ambedue gli attributi, essi possono essere presenti nel caso il diritto oggetto del titolo siano delle criptovalute dal momento che queste possono essere, nella maggior parte dei casi, liberamente convertite in euro in ogni momento.

Il requisito della liquidità, invece, afferisce alle esecuzioni con oggetto somme di danaro e richiede che queste siano individuabili “immediatamente o tramite semplice calcoli aritmetici” ed è qui che per le criptovalute possono sorgere dei problemi.

Questi possono derivare dal fatto che le criptovalute, al momento, non sono danaro e non possono esservi assimilate poiché, ai sensi dell’articolo 1277 codice civile, le obbligazioni in denaro vanno estinte mediante la moneta avente valore corrente.

Per quanto si possa escludere che la “liquidità” sussista per le criptovalute, non c’è risultato al di fuori dell’esclusione di queste dal novero delle “obbligazioni avente oggetto una somma di denaro denaro”. Per tutto il resto invece, sussistono.

Nel caso del conferimento, è il 2464 cc ad indicare che “Possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica”, dictum che dà chiaramente la possibilità di conferire le criptovalute in quanto hanno valore economico e, come già detto, sono state messe, giudizialmente, sullo stesso piano degli strumenti dei mercati finanziari

Per concludere si può dire che a livello teorico, non c’è nulla che impedisca ad un creditore di agire in esecuzione sulle criptovalute così come di conferirle nel capitale sociale. Discorso diverso riguarda la praticità  di ambedue le cose, sempre a causa della volatilità. C’è il rischio che nel caso dell’esecuzione vi sia una perdita di valore tale da far perdere l’utilità dell’esecuzione stessa all’attore che ben farebbe ad azionare un sequestro conservativo.

Nel caso del conferimento questa mancanza di stabilità del valore può avere effetti nefasti sulla stabilità della società stessa.

[1]    https://www.consob.it/documents/10194/0/Articolo+su+rischi+criptovalute/10402b10-bc3b-4500-a0d4-81cec9a2db23