di Giacomo Conti e Anna Lucia Calò

Il GDPR è, indubbiamente, un pilastro indispensabile sia per la tutela dei nostri diritti e libertà fondamentali sia per la creazione di un mercato unico digitale: nell’era dell’informazione, per costruire la fiducia dei consumatori nel mercato online, è indispensabile garantire che i dati personali circolino liberamente e siano adeguatamente protetti. Pertanto, il GDPR si erge a buon diritto come il primo pilastro del mercato unico digitale e, forse, il più noto e conosciuto ai più.

Al pari del GDPR, il Regolamento (UE) n.1807/18, conosciuto come Free Flow Data Regulation o FFD Regulation, mira a garantire la libera circolazione dei dati diversi dai dati personali all’interno dell’Unione e, allo scopo, detta disposizioni relative agli obblighi di localizzazione, alla messa a disposizione dei dati alle autorità competenti e alla portabilità dei dati non personali per gli utenti professionali.

La norma che si pone come imprescindibile completamento del GDPR trova, pertanto, il suo naturale campo di applicazione nell’ambito dei più disparati servizi che vengono erogati online: dall’archiviazione, Infrastructure-as-a-Service – IaaS, al trattamento di dati su piattaforme, Platform-as-a-Service – PaaS, o in applicazioni, Software-as-a-Service – SaaS (Cons. 17 Reg. 2018/1807).  Al pari del GDPR, il Free Flow Data Regulation, si pone come ulteriore pilastro del mercato unico digitale.

Il combinato disposto dei due regolamenti, per quanto indispensabile e imprescindibile, non è sufficiente a completare la realizzazione del mercato unico digitale e, soprattutto, a contrastare adeguatamente le nuove forme di discriminazione geografiche che si declinano in un mercato digitalizzato: un imprenditore che opera in ambito digitale può, infatti, arrivare a discriminare i clienti sulla base della provenienza geografica, localizzandone ad esempio l’indirizzo IP, oppure arrivare a reindirizzarli, in via automatica, a una distinta e diversa interfaccia rispetto a quella iniziale, che ovviamente presenta delle offerte diverse.

Questa prassi prende il nome di geoblocking: neologismo basato su una crasi del termine gèo di origine greca, che significa terra, globo o superficie terrestre e dell’inglese blocking, dal verbo inglese to block, che vuol dire bloccare, impedire o ostruire.

Nell’era digitale, una parte sempre crescente di attività economiche avviene online all’interno dei servizi che il Web offre e che tutti noi conosciamo e usiamo quotidianamente. Pertanto, il Mercato Unico inteso come spazio economico e geografico aperto e senza frontiere interne, grazie al quale merci, persone, servizi e capitali possono circolare liberamente va riconsiderato nella sua dimensione concettuale e declinazione digitale.

Le barriere digitali poste da molti fornitori di servizi dell’informazione nell’era dell’informazione appaiono altrettanto e forse anche più lesive delle barriere fisiche che gli Stati possono ergere contro la concorrenza straniera erigendo muri e ponendo frontiere.

In questo contesto, di profonda e continua evoluzione sociale e tecnologica, interviene il Regolamento (UE) 2018/302, noto come Geoblocking Regulation, che pone un divieto di discriminazione ingiustificata dei clienti nel commercio online sulla base della provenienza geografic: pietra miliare di questo regolamento è l’introduzione del divieto dei blocchi geografici ingiustificati nell’ambito dell’erogazione di servizi basti sulla Rete.

Il considerando 1 del Geoblocking Regulation evidenzia come, per conseguire il pieno potenziale del mercato interno come spazio l’eliminazione degli ostacoli fisici e materiali non è sufficiente se, nella sostanza, vengono frapposte barriere digitali che ostacolano lo sviluppo del mercato interno.

L’e-commerce transazionale, pur essendo una colonna portante del Mercato Unico, presenta gravi rischi per la tenuta del mercato stesso e, uno dei principali, è rappresentato proprio dai geoblocking. Attraverso questa attività, gli imprenditori possono arrivare a segmentare artificialmente il mercato interno, ostacolando la libera circolazione delle merci e dei servizi, limitando i diritti dei clienti e impedendo loro di beneficiare di una scelta più ampia e di condizioni ottimali.

Il GeoBlocking Regulation, per contrastare questo fenomeno, disciplina compiutamente i seguenti aspetti alla base delle transazioni online:
• accesso alle interfacce online;
• accesso a beni o servizi;
• non discriminazione per motivi legati al pagamento;
• accordi sulle vendite passive;
• assistenza ai consumatori.

Pertanto, chiunque, attivi o gestisca un servizio di e-commerce, non deve rispettare solo il GDPR, ma deve anche garantire il rispetto del GeoBlocking Regulation che, nella sua essenzialità – 11 articoli e 43 considerando – detta una disciplina complessa e articolata.