con l’Avv. Andrea Lisi, l’Avv. Giacomo Conti e il Dott. Alessandro Bottonelli

Lo ho-BIT ‖ Ep.16

Sospesi tra due realtà: il web non è più “altro” rispetto alla nostra realtà fisica. Al suo interno coesistono nuovi spazi “essenziali” per la società, quali servizi, piattaforme, app e strumenti di lavoro a distanza.

L’evoluzione tecnologica non riguarda più solo i modelli di business: l’enorme potere dei grandi player influenza anche le dinamiche individuali e il quadro dei rapporti sociali.

L’Avv. Andrea Lisi affronterà con l’Avv. Giacomo Conti, specializzato in nuove tecnologie e web reputation, e Alessandro Bottonelli, CEO & Lead Advisor di AxisNet, l’importanza di conoscere i meccanismi e imparare a utilizzare in modo consapevole il web “partecipativo”, anche per evitare di divenire a nostra volta oggetto di “utilizzo” da parte delle stesse piattaforme o di chi le gestisce.

 

Link al contenuto video: 🟣 Quanto apparteniamo alla rete? 🟣 Lo ho-BIT – Andrea Lisi – MRTV – YouTube

 

Autore: Giacomo Conti

Editore: Maggioli Editore

Pubblicazione: Novembre 2020 (I Edizione)

ISBN / EAN 8891643469 / 9788891643469

Collana: Collana Legale

 

Prefazione:  “La libertà è partecipazione” e l’inestrinsecabile legame fra corpo elettronico e materiale

 

I sogni di libertà ed emancipazione che si fondavano su un’idea di progresso tecnologico che avrebbe reso tutti liberi appartengono a un’epoca passata.

I sogni di idillio e trascendenza tecnologica, secondo cui la tecnologia ci avrebbe liberati dalle fatiche umane permettendoci di elevarci e trascendere e liberarci dalla nostra gabbia materiale per avvicinarci a un altro reame dell’esistenza, appartengono a società utopistiche ben lontane dalla nostra.

Queste sono e restano sulla carta, o in formato e-book, descritte in romanzi di fantascienza.

Permane, però, il legittimo interrogativo relativo alla libertà reale che gli strumenti del Web partecipativo 2.0 ci offrono e il quesito si pone, in ogni caso, immutato nei seguenti termini: “Internet, il Web e le tecnologie della società dell’informazione hanno migliorato la nostra esistenza rendendoci più liberi?”.

In un certo senso, si può e si deve dare una risposta affermativa alla questione, in quanto le tecnologie di Rete ci hanno liberato da fatiche non solo fisiche ma anche intellettuali. Le tecnologie basate sulla Rete ci hanno, infatti, sicuramente resi più informati, talvolta istruiti, e hanno semplificato le nostre attività di ricerca e approfondimento intellettuale contribuendo a soddisfare le nostre più svariate curiosità.

È, pertanto, innegabile che le dinamiche del Web partecipativo abbiano  migliorato qualitativamente le nostre vite ed esperienze di consumo grazie alle numerose informazioni e opportunità che i servizi di Rete ci offrono. Senza contare, peraltro, la comodità di consumare senza doversi recare fisicamente al negozio fisico.

Rimane aperta, però, la seconda parte del quesito, ossia se le tecnologie di Rete ci abbiano o meno resi più liberi rispetto al passato.

In teoria, le dinamiche partecipative dei servizi della società dell’informazione avrebbero dovuto renderci ancora più liberi, più in grado di comprendere il mondo che ci circonda, grazie al patrimonio informativo che continuamente ci regalano, prima inimmaginabile anche per il più dotto dei dotti.

Del resto, se è vero, per citare Gaber, che “La libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione”, ci dobbiamo chiedere dove sia la nostra agognata libertà. ci troviamo, infatti, in una società dove la partecipazione è assoluta e i nuovi strumenti di comunicazione ci permettono di condividere con una libertà prima impensabile il nostro pensiero e reperire una mole inimmaginabile di informazioni con pochissimo sforzo.

Dov’è, quindi, che le promesse di libertà ed emancipazione sono state tradite?

A dispetto degli innegabili progressi che la rivoluzione del Web partecipativo ha apportato non si può, infatti, dire che si sia creata una maggiore libertà.

Al contrario, tutti noi, volenti o nolenti, ci troviamo sempre più integrati nei servizi della società dell’informazione e nelle dinamiche partecipative del Web 2.0 e non ne riusciamo più a fare a meno.

Molti di coloro che hanno vissuto e sperimentato la rivoluzione del Web hanno ottime ragioni per sentire, in realtà, traditi i loro sogni di libertà. Siamo sempre più impegnati a relazionarci attraverso social network da cui non ci riusciamo a sconnettere, a ricercare novità e informazioni attraverso motori di ricerca e a comperare online beni e servizi di cui prima non conoscevamo l’esistenza e che, adesso, sono diventati inspiegabilmente indispensabili e imprescindibili.

La connettività, nei suoi aspetti relazionali e partecipativi, riguarda tutti gli aspetti della nostra vita nelle sue dinamiche personali e professionali e tutti ci troviamo forzosamente connessi senza alcuna reale via di scampo.

Può essere che il prezzo del maggiore benessere di cui attualmente godiamo abbia richiesto il sacrificio della nostra libertà?

Da un lato, quasi tutte le persone fisiche si trovano ad avere un profilo social network, ad esempio su Facebook, LinkedIn, Twitter o altri social network; e, dall’altro, sempre più imprenditori offrono i propri beni e servizi mediante marketplace e altri servizi della società dell’informazione come, ad esempio, TripAdvisor o Amazon.

Sempre più persone, fisiche o giuridiche, inoltre, si trovano indicizzate all’interno di motori di ricerca: inserire un semplice parametro come nome e cognome può, infatti, produrre risultati che a loro volta riconducono a elementi riferiti alla persona ricercata come, ad esempio, un sito o un blog personale, foto personali condivise in Rete, un profilo social network o, ancora, articoli pubblicati, interviste rilasciate o articoli di giornale online dove la persona ha formato oggetto di cronaca e proprio attraverso questa simbiosi con i servizi della società dell’informazione si estrinseca il nostro corpo elettronico: la proiezione digitale all’interno della Rete del nostro corpo materiale.

Tutte queste tracce digitali di noi – che noi stessi in prima persona lasciamo  o che altri lasciano di noi – contribuiscono a consolidare e formare la nostra Web presence (o presenza sul Web), composta dei “pezzi di ciascuno di noi che sono conservati nelle numerosissime banche dati dove la nostra identità è sezionata e scomposta, dove compariamo ora come consumatori, ora come elettori, debitori, lavoratori, utenti dell’autostrada” (1).

Il Web 2.0, con le sue dinamiche partecipative, ha accelerato e amplificato  questo processo di astrazione del nostro corpo materiale in qualcosa di diverso, ibrido e prima inimmaginabile.

Pur senza raggiungere il Regno dei cieli, il nirvana o altri reami dell’esistenza, anzi forse per certi aspetti allontanandoci dagli aspetti più nobili della spiritualità più pura che in tempi passati era posta come una delle più grandi virtù, una parte sempre più significativa della nostra vita si svolge online.

Questo reame dell’esistenza non si trova, però, in un regno diverso o irraggiungibile ed è facilmente accessibile attraverso strumenti che sono banali come un dispositivo che si può connettere a Internet e una connessione Internet.

Il Regno dei cieli è davvero qui fra noi e accessibile a tutti?

È davvero così facile ascendere?

Davvero non è più necessario intraprendere percorsi ascetici o immergersi in attività contemplative o meditative per distanziarsi dalla realtà in cui viviamo per muoverci in un dominio più nobile dell’esistenza?

Ma, soprattutto, l’astrazione del nostro corpo materiale in un corpo elettronico ci nobilita davvero come vorremmo, dovrebbe o sarebbe giusto?

A ben vedere, lungi dal distanziarci dal mondo materiale, dai nostri desideri e dalle nostre paure, quanto avviene online influenza pesantemente le nostre dinamiche relazionali e professionali che si articolano offline.

Così come noi proiettiamo online una parte del corpo materiale, a mo’ di ombra digitale, una parte del nostro corpo elettronico proietta un’ombra materiale che si ripercuote, psicologicamente e materialmente, nel dominio dell’esistenza analogica.

Siamo davvero più liberi oppure siamo aggrovigliati in un miscuglio inscindibile di realtà inestricabili?

In questo contesto di inestricabilità fra corpo materiale e corpo elettronico, reame digitale e reame analogico, si inseriscono i servizi della società dell’informazione che influenzano e governano aspetti preponderanti e cruciali delle nostre vite.

Le dinamiche relazionali alla base del Web partecipativo che ha creato il  Web 2.0 sono, infatti, quasi integralmente miste e si basano su una sempre maggiore e crescente interconnessione fra il nostro corpo elettronico e il nostro corpo materiale. Si crea, pertanto, un’entità ibrida fatta di atomi e di bit, di molecole e di gigabyte.

I nostri desideri, ansie, paure e speranze arrivano a seguirci sia quando ci connettiamo che quando siamo sconnessi; sempre che sconnettersi sia, in realtà, possibile. A ben vedere, gli aspetti più importanti della nostra vita restano sottratti irrimediabilmente al nostro dominio proprio a causa delle  dinamiche che la partecipazione all’interno della vita online ci impone.

È evidente come i servizi della società dell’informazione basati sul Web  governino sempre di più la nostra vita personale e professionale e come non possiamo più fare a meno di questi, anche se spesso vorremmo sconnetterci, isolarci e sottrarci al continuo bombardamento di informazioni cui veniamo sottoposti.

Per questi motivi non siamo più realmente padroni delle nostre vite, ma sono le piattaforme digitali a garantire i nostri diritti fondamentali, a permettere alla nostra persona di esprimersi e a dare voce al nostro corpo elettronico: i nostri desideri finiscono in whishlist di cui i cybermediary diventano custodi, le nostre curiosità e segreti sono inseriti in motori di ricerca che le destrutturano e le indicizzano rendendole uniformi e privandole dell’unicità che noi pensavamo che avessero. Inoltre, la nostra voglia di esprimerci si articola in post condivisi attraverso social network, così come la nostra socialità oramai può prescindere dal bisogno di scendere in piazza e trovare luoghi fisici per socializzare ed esprimere le nostre idee e, di conseguenza, la coesione sociale sembra diventare sempre più tenue.

I servizi della società dell’informazione sono diventati, quindi, indispensabili per molte persone fisiche, che attraverso di essi si esprimono e si relazionano con gli altri, e per molte imprese, che li utilizzano per perseguire la propria attività economica.

Si pensi, in questo senso, all’importanza per una PMI di avere una propria web presence su Amazon o di essere adeguatamente indicizzata su
Google per ottenere un importante vantaggio competitivo sui propri concorrenti.

Alla luce del quadro tracciato si deve dare, quindi, risposta negativa alla nostra esigenza di libertà che appare sicuramente frustrata.

Molti diranno che questa è stata sacrificata sull’altare di qualcosa di più importante, come l’accesso alla conoscenza attraverso ricerche operate online, la possibilità di partecipare e dire la nostra, probabilmente anche quando forse sarebbe opportuno tacere, la possibilità di acquistare quello che vogliamo quando vogliamo e di vedercelo consegnato a casa senza che sia necessario uscire quando quasi certamente due passi e una boccata d’aria fresca non ci farebbero male.

Siamo, quindi, ora più che mai lontani dalla trascendenza cui aspiravano gli antichi, i filosofi e gli illuminati dei tempi passati?

In un certo senso, probabilmente no, in quanto il corpo elettronico, la nostra proiezione digitale, ci ha permesso di raggiungere a tutti gli effetti un reame diverso dell’esistenza, creando la cosa più simile all’anima che questa società materialista riesce a concepire.

Il nostro corpo elettronico vive senza mangiare, bere, dormire e necessita  solo di connessione e di dati. non è questa forse libertà?

Ma questo corpo è davvero nostro?

Possiamo davvero governare le sue  dinamiche che avvengono all’interno della Rete?

A ben vedere, abbiamo un controllo molto limitato sul nostro corpo elettronico, in quanto in Rete tutti sono liberi di dire la loro in una piazza dalla eco infinita che rimbomba nei secoli imperituri e di coinvolgerci in discussioni che non ci riguardano o a cui non siamo interessati.

Gli algoritmi dei motori di ricerca e dei social network a cui siamo iscritti ci bombardano o sottopongono alla nostra attenzione altre persone o prodotti che, forse e molto probabilmente, preferiremmo ignorare.

Non sono forse queste forme di violenza elettronica, tentativi subdoli ma al tempo stesso violenti di coartare la nostra libertà?

L’aggressione al nostro corpo elettronico cesserà solo quando le persone che cercano l’informazione vi perderanno ogni interesse, le Wiki non
verranno più aggiornate o i cybermediary, custodi dell’informazione, arriveranno a rimuoverla per gentile concessione o per un ordine di un’Autorità che, al momento, appare ancora superiore.

In realtà, a ben vedere, ora più che mai siamo prigionieri di una gabbia elettronica, custodita dai vari Amazon, Google e Facebook, che ci comprime e mai come ora siamo stati così poco padroni delle informazioni che ci riguardano. contrariamente a ogni ragionamento logico, siamo più liberi ma al tempo stesso più prigionieri e ora più che mai guardiamo il mondo come i prigionieri della caverna di Platone.

La risposta al paradosso logico secondo cui partendo da premesse vere e false al tempo stesso si producono conclusioni vere e contraddittorie fra loro si può dare nei seguenti termini: il Web partecipativo e i cybermediary hanno ribaltato il rapporto tradizionale della libertà che non è più una “libertà da qualcosa”, come ad esempio ingerenze indebite nella nostra sfera personale, ma una “libertà di fare qualcosa”, come commentare, condividere contenuti, criticare altri, acquistare con semplicità ciò che ci aggrada e vedercelo recapitato comodamente a casa.

In questo contesto, ciò che si pensa di noi offline viene proiettato online e  ciò che ci riguarda online ha precipitati nelle nostre dinamiche professionali e personali che si articolano offline.

Il quadro di interconnessione è, quindi, continuo, complesso e si autoalimenta e impone di rivoluzionare il modo attraverso cui noi pensiamo e ci relazioniamo con i servizi della società dell’informazione.

Queste nuove dinamiche relazionali personali e professionali e la sempre crescente integrazione fra ciò che avviene online e ciò che avviene offline lasciano aperti numerosi interrogativi:

Siamo davvero più liberi e felici?

Siamo davvero più colti, istruiti e consapevoli?

Riusciamo a distinguere ciò che avviene in Rete da ciò che avviene offline?

Siamo davvero in grado di distinguere la nostra ombra digitale dalla nostra ombra materiale che proietta la luce del sole?

Ai posteri l’ardua sentenza”.

Giacomo Conti

 

Per maggiori informazioni sul testo v. https://www.maggiolieditore.it/lineamenti-di-diritto-delle-piattaforme-digitali-volume-2.html

 

(1) Salviamo il corpo, di Stefano Rodotà, stralcio dell’intervento al convegno su “Trasformazioni del corpo e dignità della persona”, Roma, 4 maggio 2005.

di Giacomo Conti

Il diritto di accesso alla Rete si estrinseca come uno dei diritti fondamentali del nostro corpo elettronico.
A differenza dei diritti naturali del corpo materiale frutto della tradizione illuministica, quelli del corpo elettronico, si esplicano in una forma mediata in quanto – per esplicarsi – necessitano di servizi che vengono erogate da imprese e società private: i cosiddetti access provider.
L’uomo digitale si nutre, infatti, di dati e informazioni e ha un vero e proprio diritto a che i fornitori del servizio non limitino i suoi diritti naturali o, meglio, naturalmente discendenti dall’evoluzione tecnologica.
I pericoli di intese e cartelle fra questi player è particolarmente pericoloso in quanto può incidere o limitare il diritto di accesso alla Rete e ad un Internet aperta dell’uomo digitale.
Per questa ragione, il Reg. UE 2015/ 2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta inserisce una disciplina correttiva agli accordi fra access provider che non devono in alcun modo limitare arbitrariamente questo diritto fondamentale della personalità elettronica.
L’art. 3 del Regolamento citato vieta agli accordi tra i fornitori di servizi di accesso alla Rete e gli utenti finali che incidono sulle condizioni e sulle caratteristiche commerciali e tecniche dei servizi di accesso a Internet quali prezzo, volumi di dati o velocità, e le pratiche commerciali adottate dai fornitori di servizi di accesso a Internet atte a limitare l’esercizio dei diritti degli utenti finali di diritto di accedere a informazioni e contenuti e di diffonderli, nonché di utilizzare e fornire applicazioni e servizi, e utilizzare apparecchiature terminali di loro scelta. La neutralità della Rete deve essere salvaguardata indipendentemente dalla sede dell’utente finale o del fornitore o dalla localizzazione, dall’origine o dalla destinazione delle informazioni, dei contenuti, delle applicazioni o del servizio, tramite il servizio di accesso a Internet.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella recente sentenza in data 15 settembre 2020 avente ad oggetto le cause riunite C-807/18 e C-39/19Telenor Magyarország Zrt./ Nemzeti Média-és Hírközlési Hatóság Elnöke ha affrontato specificatamente il tema.
Il caso riguardava la conclusione di accordi mediante i quali gli utenti del servizio sottoscrivevano pacchetti di servizi dove a fronte di una «tariffa zero», venivano previste dai fornitori di servizi misure di blocco o rallentamento del traffico riguardante l’utilizzo di servizi e di applicazioni diverse dai servizi e dalle applicazioni specifici soggetti a tale «tariffa zero».
La Corte riteneva suddetto accordo idoneo a limitare l’esercizio dei diritti degli utenti finali in quanto le misure di rallentamento o di blocco del traffico sono basate non su requisiti di qualità tecnica del servizio, ma su considerazioni di ordine commerciale stabilite arbitrariamente dal fornitore del servizio.
Per questa ragione, la Corte riteneva violato l’art. 3 del Reg. UE 2015/2120 e l’accordo frutto di una prassi commerciale illegittima arrivando a fornire un importante indirizzo interpretativo a cui i giudizi nazionali si dovranno adeguare.